Brevi riflessioni sul D. Lgs. n. 24 del 10 Marzo 2023, relativo alla protezione del segnalante

Con il Decreto Legislativo n. 24, del 10 Marzo 2023, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”, sulla base della relativa Legge di Delegazione Europea n. 127/2022, è stata finalmente attuata la Direttiva ed adattata (1) la normativa nazionale rilevante .

Come noto il ritardo nella trasposizione della Direttiva ha sollevato forti critiche ed è anche costato all’ Italia una procedura di infrazione (cfr. comunicato stampa della Commissione del 15.2.2023).

Il presente breve commento, senza pretese di completezza, ha lo scopo di evidenziare alcuni degli aspetti che potrebbero apparire come problematici – ad una prima lettura del testo – e che potrebbero comportare delle concrete difficoltà interpretative.

Iniziando dall’ articolo 1 che riguarda proprio l’ ambito di applicazione oggettivo della norma, appare in qualche modo generico il riferimento collegato alla sua inapplicabilità quando relazionata a richieste legate ad un non meglio precisato (e difficilmente precisabile) “interesse di carattere personale” del segnalante, in riferimento esclusivo “ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico”.

Infatti l’iniziativa del segnalante si innesca, normalmente, sulla base dal suo rapporto con “la struttura” e può trovare fondamento nella violazione di prerogative che possono toccare anche l’interesse del segnalante stesso. Discernere, quindi, dove inizia un interesse esclusivo, collegato al rapporto di lavoro, e dove finisce, invece, il bene giuridico protetto dalla norma in esame non appare agevole e, tale difficoltà interpretativa, dovrà essere affrontata, caso per caso, dall’ interprete, in via dirimente.

Quanto all’ articolo 2 del testo (che riguarda i termini definitori), non sfugge ad una lettura attenta l’ ampiezza del riferimento (cfr. art. 2.1, lett.a) sub 3)) a delle tipologie di illeciti che non sono solo indicate puntualmente nell’ allegato al Decreto bensì anche prese in considerazione nel novero (piuttosto articolato) di previsioni che riguardano disparati settori normati da atti dell’ Unione o nazionali. Anche qui, pur apparendo manifesta la difficoltà di inserire nell’ allegato al testo dei puntuali riferimenti a categorie amplissime di atti, il mero rimando “per materia” (vista la disparità degli ambiti presi in considerazione) rischia di innescare delle ulteriori difficoltà interpretative.

Un aspetto che appare di non semplice demarcazione è altresì rappresentato dalla previsione della lettera q) dello stesso articolo 2, ove si rimanda ad una definizione di “soggetti del settore privato” che si configura nelle previsioni “dimensionali” o “per materia”, delle quali ai numeri 1) e 2) dell’ articolato. A valle di queste, tuttavia, la previsione del numero 3) della predetta lettera q) può suscitare qualche perplessità. Infatti il rimando all’ “ambito applicativo” ed all’ adozione dei modelli organizzativi, riferito a soggetti che nell’ ultimo anno potrebbero non aver raggiunto i requisiti “dimensionali” anzidetti rischia di impattare su delle realtà di modeste dimensioni , seppur rientranti in un non meglio precisato “ambito applicativo”.

Venendo all’ aspetto soggettivo della norma, delineato dall’ art. 3, l’ estensione delle “misure di protezione” a soggetti inseriti in un non meglio precisato “medesimo contesto lavorativo” e che intrattengono “rapporti abituali e correnti” con il segnalante appare quantomeno sfuggente.

A questo punto è opportuno segnalare il ruolo che l’ ANAC assume – nell’ ambito del meccanismo di garanzia della corretta applicazione della norma – e la fondamentale importanza che le Linee Guida dell’ Autorità (di cui all’ art. 10 del Decreto) rivestiranno in materia.

Una breve riflessione merita, inoltre, il riferimento ai “soggetti titolari del trattamento” di cui all’ art. 13 del Decreto, il quale rinvia, in proposito, all’ art. 4 dello stesso. Il tema potrebbe lasciare spazio – secondo chi scrive – a qualche (anche qui, nel caso in cui detta preoccupazione sia corretta) dubbio sul riferimento alla “titolarità” dei dati. Infatti lo stesso art. 4 citato (cfr. art. 4.2) rimanda all’ affidamento della gestione del canale di segnalazione “all’ interno” o “all’ esterno” (delineando apparentemente un rapporto tra titolare ed incaricato del trattamento, nel primo caso, ovvero tra titolare e responsabile del trattamento, nel secondo), senonché nello stesso articolo 4 si coniuga il concetto di “autonomia” con il ruolo dell’ affidatario, il che fa nascere qualche dubbio rispetto ad una qualificazione di quest’ultimo, la quale altrimenti apparirebbe scontata. Se, poi, le particolari caratteristiche di autonomia nel trattamento dei dati si coniugassero con quelle di “autonomia” ed “indipendenza” richieste – per esempio – ad un ODV od ad un RPCT , allora forse si potrebbe pensare che simili soggetti, ancorché affidatari del servizio, non potrebbero che rivestire una qualificazione privacy diversa dai meri “incaricati” o “responsabili”, quale quella di titolari o, al limite, contitolari del trattamento.

Da ultimo, appare di non poco interesse la previsione dell’ art. 22 del testo che riguarda le rinunce e le transazioni, la quale recita quanto segue: “Le rinunce e le transazioni, integrali o parziali, che hanno per oggetto i diritti e le tutele previsti dal presente decreto non sono valide, salvo che siano effettuate nelle forme e nei modi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. “ Il richiamo all’ art. 2113 C.C. , tuttavia, estende l’ applicabilità della norma ad una platea potenzialmente molto più vasta di soggetti (cioè quelli presi in considerazione dal Decreto) che non il “prestatore di lavoro” ed, inoltre, appare suscettibile di ingenerare dei dubbi rispetto a rinunzie e transazioni che potrebbero finire per impattare sui diritti del segnalante, cioè non solo quello a vedersi protetto dall’ esposizione ad eventuali ritorsioni in conseguenza della segnalazione bensì, ed oltre ciò, sul vero e proprio diritto “a segnalare” quale manifestazione di un diritto protetto, di valore “fondamentale”.

 

  1. Si ricorda che ai sensi dell’ art. 23 del Decreto : “ Sono abrogate le seguenti disposizioni:
    a) l’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165;
    b) l’articolo 6, commi 2-ter e 2-quater, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
    c) l’articolo 3 della legge 30 novembre 2017, n. 179. “

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