La Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 12 Marzo sulla proposta di Direttiva in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare

La recentissima Risoluzione legislativa del Parlamento Europeo del 12 Marzo  sulla proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare, è stata accolta con grande interesse.

Infatti proprio nell’atto adottato, con riferimento al suo oggetto ad ambito di applicazione, si legge  (  cfr. art. 1 ) che : “Allo scopo di contrastare le pratiche che si discostano nettamente dalle buone pratiche commerciali, sono contrarie ai principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte, la presente direttiva definisce un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare, e stabilisce norme minime concernenti l’applicazione di tali divieti, nonché disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto.”

La previsione dell’articolo citato prosegue individuando le  soglie di fatturato annuale dei fornitori e degli acquirenti di prodotti agricoli e alimentari, escludendo dall’applicazione della Direttiva gli accordi tra i fornitori e consumatori.

Fra gli altri aspetti lo stesso art. 1 prevede che la Direttiva si applica alle vendite in cui il fornitore o l’acquirente, o entrambi,  sono stabiliti nell’Unione.

Sotto il profilo temporale la Direttiva si applica ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicazione delle misure di recepimento prevista nella Direttiva stessa, mentre,  quanto ai contratti conclusi prima di detta data, questi saranno resi conformi alla Direttiva entro 12 mesi dalla data di pubblicazione delle misure di recepimento.

L’art. 2 prevede la definizione di alcuni termini rilevanti, mentre l’elenco delle pratiche commerciali ritenute sleali e quindi vietate è contenuto nello stesso art. 3 del testo ove si prevedono altresì esclusioni e limitazioni rispetto al divieto.

L’art. 4 si riferisce alla designazione delle c.d. “Autorità di contrasto” , mentre gli artt. 5 e 6 dispongono in merito alle denunce ed ai poteri di cui sono munite le  c.d. “Autorità di contrasto”.

Risulta interessante notare come l’art. 7 preveda un ricorso all’  “ADR” la cui inferenza con il delicato tema dei poteri delle c.d. “Autorità di contrasto” dovrà essere sicuramente approfondita.

Resta salva, come previsto dall’art. 9,  la facoltà degli Stati membri  di mantenere o introdurre un “livello di protezione più elevato” purché   compatibile con il funzionamento del mercato interno.

Tornando alla previsione dell’art. 3, sono senz’altro ritenute pratiche commerciali sleali, fra le altre,  quelle relative a termini di pagamento delle forniture in favore dell’ acquirente ritenuti eccessivi  sulla base di quanto  puntualmente stabilito nella Direttiva,  ovvero clausole che prevedano l’ annullamento degli acquisti o la modifica unilaterale delle condizioni dell’accordo di fornitura  da parte dell’acquirente, ovvero altre richieste penalizzanti per il fornitore ,  ovvero, fra le altre,  la minaccia o messa in atto di ritorsioni commerciali da parte dell’ acquirente nei confronti del fornitore rispetto alle  sue legittime richieste in merito  all’ esercizio dei diritti contrattuali o legali dei quali  gode.

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